LA “NUOVA CITTA’”
(Racconto, Goma, 1992)
C’era una valle ai piedi del monte. Era bella, come ogni cosa uscita dalle mani di Dio. Tanti anni erano passati, ma con la stagione delle piogge la vita ritornava sempre nuova. La valle sembrava aspettasse l’arrivo di qualcuno…
E un giorno arrivò nella valle, dalla riva del lago, la famiglia di Goti con la moglie e i tre figli; erano ancora spaventati. Venivano dall’isola vicina che la tempesta aveva sconvolto. Né sapevano chi dal loro villaggio di pescatori aveva potuto salvarsi.
Non passarono molte lune che nella valle arrivò anche la famiglia di Ola. Portavano i segni della fame e della fatica. Avevano camminato tanti giorni da quando, con amarezza, avevano lasciato il loro villaggio e i loro campi. Da due anni il sole bruciava i loro raccolti e la stagione secca sembrava non finire più… con l’arrivo della pioggia nella valle seminarono senza indugio i pochi fagioli che erano rimasti e ricominciarono a sperare.
Ma la famiglia di Goti temeva la famiglia di Ola, quanto la famiglia di Ola temeva la famiglia di Goti, perché la loro origine era diversa.
C’era pascolo nella valle, e così un giorno si fermò anche la famiglia di Mema con alcune mucche che erano la loro vita. Così erano soliti fare, di tanto in tanto, come i loro fratelli: si spostavano per cercare pascoli nuovi.
Subito dopo arrivò la famiglia di Amisì. Avevano lance, grandi coltelli e tanta paura… i leoni erano entrati nel loro villaggio vicino alla foresta ed essi erano fuggiti passando per monti e per valli.
Non passarono molti anni che nella valle arrivarono molte altre famiglie…
La gente parlava lingue diverse; ognuno seguiva le proprie usanze. Le famiglie si temevano e cercavano di evitarsi. Le loro capanne erano diverse; ognuna era costruita in modo da voltare la schiena agli altri, così nessuno poteva facilmente vedersi. Spesso, soprattutto la sera, gli adulti rimpiangevano i tempi lontani. Erano giorni tristi per gli uomini che vivevano nella valle… erano ormai tanti, ma non erano villaggio.
I bambini cominciarono a crescere… uscivano spesso di nascosto dal cortile e dai campi e si incontravano. Erano soliti giocare, andavano insieme sulla riva del lago o verso la foresta. Stavano bene insieme. Non conoscevano la paura dei grandi e non capivano perché i loro genitori si temevano e non volevano parlarsi.
Un giorno salirono verso la montagna, seguirono la direzione di un fumo che si alzava verso il cielo. Arrivarono. Davanti alla capanna stava un vecchio, appoggiato alla sua zappa, la pipa in bocca. Non fu sorpreso di vederli, sembrava li aspettasse da tempo. Offrì loro un casco di banane rosse e si sedettero in cerchio. Il vecchio raccontò la sua storia, lui che era nato nella valle. I genitori lo avevano lasciato partire con lo zio verso un villaggio lontano perché imparasse a leggere e scrivere. Aveva conosciuto tanta gente… ma chi lo aveva colpito maggiormente era un saggio (“mwalimu”) che parlava di Dio, e il Libro che leggeva diventava luce nel suo volto. Quando tornò il villaggio era scomparso, un fiume di fuoco che era uscito dal fianco della montagna lo aveva distrutto. Così gli raccontò la gente cha abitava nelle colline vicine. C’era pace e saggezza nelle sue parole; c’era luce nei suoi occhi.
Dal monte si vedevano le abitazioni nella valle, come pure il vuoto che regnava al centro di esse. I ragazzi pensarono di chiedere al vecchio una “medicina” per guarire le loro famiglie dalla solitudine. E lo invitarono a visitare le loro famiglie. Egli li guardò, sorrise ed acconsentì con un cenno del capo.
Dopo pochi giorni scese dalla montagna; era atteso perché i ragazzi avevano parlato di lui che era nato nella valle. Incontrò ogni famiglia, ascoltò la storia di ciascuno. Parlò poco, ma restò in ogni casa la pace del suo volto e l’attesa della sua promessa. Aveva detto a ciascuno: “Ho un segreto da svelare, un segreto che porterà fortuna”. Poi aggiunse: “Ci troveremo la sera della luna piena, vicino al grande albero al centro delle case; porta con te la cena e qualcosa in più, perché ci saranno ospiti”.
“Quale sarà il segreto del vecchio della montagna?” si chiedeva ciascuno aspettando la sera della luna piena. I ragazzi erano contenti perché gli adulti non parlavano più del passato, ma di ciò che doveva accadere con l’arrivo del saggio.
E arrivò la sera della luna piena… quando il fresco e la luce chiara invitano a muoversi, uomini e cose.
Il vecchio era già seduto vicino al grande albero, al centro delle case; aveva un’anfora ai suoi piedi. Le famiglie arrivarono l’una dopo l’altra con il loro involucro, che deposero, aperto, ai suoi piedi.
Gli occhi di ciascuno erano rivolti verso di lui, l’amico che tutti aspettavano. Era contento. Si alzò, prese un po’ di cibo dai vari panieri e invitò ciascuno a fare altrettanto. Era la prima volta che ogni famiglia mangiava non solo fagioli, o solo pesce, o solo bugali di manioca… ma gustava qualcosa del cibo del vicino.
Gli occhi si incontrarono e piano piano cominciarono a scambiare qualche parola. Tutti trovarono che la cena era molto buona. Il vecchio invitò ciascuno a bere acqua dalla sua anfora; la sua pace sembrava diffondersi sul volto di tutti.
Poi si alzò e parlò… piccoli e grandi seguivano attenti. “Sì! Vi dico che la “fortuna” è nelle vostre mani. Ieri eravate tristi perché avete perduto il vostro villaggio di origine. Questa sera può rinascere. Nella valle avete trovato la terra, le piante, l’acqua, il sole, tutti i doni che il Signore vi aveva dato nel luogo dove siete nati, ma – disse il vecchio – là avete lasciato la saggezza che fa diventare le famiglie villaggio: vivere da fratelli, come figli di uno stesso Padre”.
Tutti lo ascoltavano con grande rispetto. Sentivano nascere qualcosa di nuovo dalla saggezza di sempre. “Da vicini, siamo diventati fratelli come coloro che sono rimasti al villaggio” – così cominciarono a dirsi tra loro. Capivano quanto fossero semplici e vere le sue parole. Bastava volerlo. Ciascuno doveva fare un passo verso l’altro. Certo c’erano ostacoli da togliere, ma la “famiglia” diventava più grande e i doni di ognuno diventavano la ricchezza di tutti.
I ragazzi capirono: era arrivato il momento di esprimere il patto che stava nascendo tra tutti i presenti. Accesero il grande fuoco… e la gioia scoppiò nel nuovo villaggio. Il tamburo risuonò a festa, ore ed ore, in tutta la valle. Sulla saggezza di ieri era nato il nuovo grande villaggio che chiamarono “città”. GOMA è il suo nome.
Così sono chiamate ad essere le città del mondo. La gente che le abita sa di avere lo stesso sangue: sangue umano. Tutti vivono le stesse gioie e le stesse sofferenze, come tutti godono dello stesso sole e della stessa pioggia. La vita li unisce: la nascita e la morte, come le cose di ogni giorno: il mercato, la strada, la scuola, la chiesa, l’ospedale, il lavoro. Poco a poco gli uomini imparano l’arte di vivere insieme, fino a diventare una comunità della grande famiglia umana e a camminare insieme verso la Città Celeste, dove tutti i popoli saranno un giorno riuniti nella festa della città di Dio.