Siamo di fronte ad una sofferenza che non lascia nessuno indifferente. Un’onda umana arriva sulle nostre strade, non solo dall’Africa, ma anche dai Paesi tormentati dell’Asia Minore. E’ un fenomeno certamente collegato con la crisi dei sistemi politici e gli squilibri dell’economia mondiale.
E’ segno di intelligenza e doveroso, prendere coscienza delle cause che la determinano; questo aiuta a cercare insieme risposte possibili.
Il problema, forse, più che l’accoglienza in sé, è come gestirla. Ho colto un contributo anche in chi fa resistenza. Il fatto investe chi arriva e chi accoglie. Importante è il dialogo, la gradualità e la partecipazione più larga possibile.
Varie realtà del territorio, da sempre e soprattutto in questo tempo di crisi, hanno sostenuto e sostengono i più bisognosi, italiani e non. Conosciamo le mense – i dormitori – le case di accoglienza – la distribuzione di vestiario e in particolare l’impegno continuativo della Caritas diocesana.
E’ necessario un luogo (struttura di accoglienza) e un tempo (sufficiente) di identificazione e di discernimento delle persone che arrivano.
Certo con l’accompagnamento e l’assistenza delle varie componenti della Società che accoglie: Istituzioni (Prefettura, USL, Forze dell’Ordine…) e Organismi di Volontariato (Servizio Civile, Caritas, Croce Rossa, ecc.).
E’ importante la partecipazione degli ospitati attraverso il/i loro rappresentante/i e la valutazione comune dell’accoglienza con incontri periodici tra ospitanti e ospitati.
Questo tempo di identificazione permetterà anche di discernere tra immigrati e rifugiati politici, e di:
- Facilitare ricongiungimenti familiari;
- Valutare inserimenti in altre comunità o famiglie.
- Si può fare di più!
- Rientri nei Paesi di origine dove questo è possibile… (è necessaria – ma questo va oltre le nostre competenze – un’azione politica tra governi per assicurare strutture di accoglienza o di reinserimento. Un impegno comune è fare pressione perché rapporti di giustizia e di reciproca dignità siano instaurati nelle relazioni internazionali).
Come partecipare alla vita della struttura di accoglienza?
- Sollecitare lo snellimento dei tempi di attesa, conoscendo le lentezze della nostra burocrazia;
- Trasformare il tempo di attesa in opportunità, attraverso:
- Corsi di lingua e di educazione (conversazione) civica e di alimentazione;
- Elementi di conoscenza delle nuove tecnologie (computer, ecc.);
- Igiene e pulizie della struttura di accoglienza…
- Avviamento o presentazione dell’apprendistato (mestieri);
- Sport, musica, film educativi…
- Momenti di ascolto e di scambio, con elementi di cultura e di esperienze vissute da parte dei nuovi arrivati;
- “Cosa sai fare?” Così iniziò l’artigianato nel Centro per Handicappati e nella Prigione Centrale di Goma (R. De Congo). Ogni gruppo (tribù) sapeva fare qualcosa di particolare: cesti, stuoie, vasi, sculture di legno, ecc.;
- Servizi da parte degli ospitati nel territorio che accoglie (es. pulizie di fossi, ecc.)
- Partecipazione delle comunità parrocchiali, movimenti di spiritualità e altre organizzazioni alla vita della comunità delle persone accolte, con visite, forniture di alimenti, condivisione di momenti particolari;
- Curare tempi di preghiera particolari (delle singole comunità religiose) ed ecumenici.
“E’ provato (inoltre) che l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità di integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza. Tuttavia mi preme ribadire che l’amore è più forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo. Quest’esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere.”
(Papa Francesco: Lettera Enciclica Laudato sì, Sulla cura della casa comune, n. 149)